Mutilato il toro marino, simbolo della Città di Sapri: preludio di una castrazione annunciata?
A partire da uno stemma comunale è fatto ben noto ai più che esso è in essenza a costituire il segno distintivo dell’ente, l’elemento grafico rappresentativo dell’identità stessa del comune: un uso inammissibile per la dignità dell’ente non è consentito. In quello di Sapri, nel contesto e a più di vent’anni dalla data storica dell’Unità d’Italia, fa comparsa per la prima volta ufficialmente nell’effigie il misterioso affresco di un toro marino, un pauroso animale con le corne taurine e la coda di pesce a tre lobi che sembra provenire direttamente dal mare e la cui origine è a perdersi nella notte dei tempi.
Onorando l’immagine già connaturata nelle esigenze del simbolismo del tempo e perciò penetrando i meandri di ciò che inoltre ha valore di simbolo, il toro quand’anche marino è accostamento e richiamo maschile per eccellenza. Nella cultura antica esso si vede spesso associato a divinità maschili e incarna anzitutto la fertilità e la potenza maschile, segno di energia, forza, resistenza, protezione e aggressività.
Dalla mitologia celtica, dall’Egitto, passando per la Cina al segno zodiacale del Toro, la sua influenza permea l’intera storia del pianeta: che si tratti di letteratura, folklore, arte o simbolismo, il toro ha ispirato l’umanità molto prima dell’inizio della storia, è venerata immagine in numerose religioni e spesso sacrificato in antichi rituali per ottenere la benevolenza degli dei. Memori di un immaginario cristiano, ciondolando nei paraggi, il toro assurge a personificazione di Cristo, il cui sacrificio è fonte di vita.
Sullo sfondo di un enarrato e galeotta la furia del vento che ebbe ad abbattere un albero secolare a Sapri nel 2019, tosto un artista locale su invito si fece consegnare le vestigia e, scolpendone la viva forza, rese omaggio alla tremenda creatura, il toro marino, d’allora a dimora ad imperitura memoria all’ingresso del Municipio cittadino in Villa Comunale. È qui che il mistero già protagonista si riaccende oggi: in un impeto vandalico una mano, complice la notte infausta, leva alta la scure sopra la testa a tranciare il viril membro, metaforicamente qui tracciando… prima le corna, poi la coda a seguire. Del resto è pur noto che anch’esso, il corno nella forma, è simbolo di virilità e fertilità, quand’anche di forza, dal momento che per gli animali che ne sono in possesso è un’arma, e di ciò vettore in tutte le civiltà e culture, da quella ebraica e cristiana, a quella sumera, a quella indù e cinese, a quella degli sciamani siberiani.
Segni e coincidenze, il caso non esiste, illustre menti ieri e oggi a illuminarci, non solo ciarlatani. Gli eventi non dipendono esclusivamente dal principio di causa ed effetto, vi è sorte che sfugge e nondimeno unisce, il loro linguaggio non è verbale e dunque ricusato dalla nostra cultura fin troppo materialista. Mai trascurando qui un obbligo di accogliere il leale disappunto dell’artiere, ogni sfregio deplorando, ogni opera rispettando, fossi la gentil corte a Palazzo coglierei l’opportunità per considerare più seriamente i problemi che serrano già il cuore della città piuttosto che lasciare che scalpitino alla periferia di una mente. D’altronde è il loro stesso Dio ad annunciare, nemmeno troppo velatamente, di “mozzare tutte le corna degli empi e di fare che le corna de’ giusti saranno alzate” (Sal 75,10 Diodati 1885) o, in ossequio ai tempi e nell’idioma dei figli, di “annientare tutta l'arroganza degli empi, allora si alzerà la potenza dei giusti” (Sal 75,11 CEI).
Sabina Greco
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