Patrizio mercenario buontempone | Ritratti di strada

Lui è uno di poche parole. É buono dentro, di una generosità naturale e genuina, appannaggio di una minoranza, ma quando s’infiamma ti lancia anche il coltello, quello suo già tramandato. Fortuna vuole che non capiti tutti i giorni, è un esperto tiratore, ce l’ha nel sangue, ci gioca da quando era bambino e lo centra sempre, il bersaglio. Non conviene farlo innervosire. 

 

Lui è Patrizio, è forestiero, forse portoghese, non ne parla ed è un mercenario delle greggi, transumanti preferibilmente. Non conosce altro nella sua vita, gli animali sono la sua passione. Lui va dove lo portan loro, sono ben quindici anni che lo trattengono in quel d’Italia, quella meridionale, i suoi pascoli nelle regioni, Calabria, Sicilia, Campania. Di gregge in gregge vi provvede, li governa e pur li ammazza, se necessario. Di lui persona svela poco, par’essere un discendente marrano di sangue, perlomeno è così che si presenta, son marrano della Lusitania, e – s’intuisce – i suoi datori di lavoro non sono soliti a indagare oltre. É così che la sua storia si perde nella notte dei tempi, la Lusitania terra antica, oggi il Portogallo, e la tragedia, avvenuta poi, della sua progenie di natura ebrea, perseguitata e già costretta alla conversione, quella nota qui al cristianesimo, con la successiva dispersione delle genti in ampie regioni pur dell’Italia. Per quanto siano nebulose le informazioni di un'anagrafe che lo riguarda, sono le avventure sue campestri a rendergli l’omaggio di vestire i panni di un insolito cantastorie. La voce suadente, lo sguardo ammiccante e una risata vuoi omerica inchiodano l’astante che si pasce di orditi e trame. E così si svela all’occhio ignaro un mondo agreste imbevuto di ogni genere di comicità e giulleria.  

 

Vi è la volta – a dirne una – in cui Patrizio, già fremente di ardore e desiderio per la fanciulla di un paese altro e poco distante, volle i soldi dal contadino, suo padrone, per condurla alla taverna, una cena e poi abbracciati tutta la notte appassionatamente. Al burbero e ingiustificato rifiuto dello stesso di rendergli ciò di diritto, Patrizio adirato si sedette sul ciglio della strada con una grassa e grossa capra sottobraccio e il chiaro intento di venderla al primo offerente. Volle il cielo che non facesse nemmeno in tempo ad appoggiarsi che già la bestia fu venduta e lui, come per incanto, fra le braccia dell’amata.  

 

O vi è ancora quell’altra volta – a dirne due – in cui il cuore ora comandava di trafugare una delle bestie a lui sì affidate. Qui la storia, tenera e discreta, è quella di un padre di famiglia che a stenti ebbe modo di sfamare la sua prole e Patrizio generoso prese vivo un agnello, lo sgozzò e sistemò la carne da donare all’infelice in una notte già d’inverno. Se la ride ancora oggi al ricordo di una faccia paonazza del fattore che al mattino se lo vide in meno con il sangue sola traccia di un misfatto sì volpino. Fu vicina, nei termini di una variazione di rosso, soltanto a quella di un altro pure, più remoto nella sequela, che al risveglio se le vide stese a terra, le pecore tutte addormentate e sì beate, da immaginare di intravedere un sorriso stampato in muso. Capitò sempre a lui, il marrano, ancora giovane e inesperto, di buttare l’erba alle bestie senza sapere che quella stessa era del contadino la medicina a sollievo delle notti insonni.  

 

E se di storie è farcito il giorno di Patrizio, qui mercenario, la sua vita si fonde sacra su quell’una fra le regole proprie… chi vuol male dopo aver avuto bene, fa la fine di quel montone a cui da infante ha segato il corno per avergli punto il deretano dopo le infinite cure, di già godute.  

 

Sabina Greco


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