Per sentirla la devi amare | Del resto sono solo una puttana

Mia amata Dafne.


Ha una dote straordinaria, la steppa. Una dote che possiede sempre, all’alba, in inverno e in estate, nelle notti scure di tempesta e in quelle terse. Perché sempre e comunque la steppa parla all’uomo di libertà… E la ricorda a chi l’ha perduta. 

[VASILIJ GROSSMAN]


E io l’ho perduta, quella stessa libertà, il giorno in cui ho incontrato lui

Non covo desideri né volontà di attribuire a lui una colpa - non ci guadagno nulla - ma non ebbi a immaginare che da lì a qualche mese, foriero un fatto avverso, uno dei tanti che a servire è la vita, il suo delirio di gelosia, intenso greve e soffocante, 

mi sarebbe entrato dentro profondamente, come una vite penetra il legno; mi avrebbe sequestrato anima e cuore;

trasportata in quel luogo di pena e aberrazione, fuori dai confini di una ragione;

spogliata di ogni rango di nobiltà morale in cui pensiamo di esser calati in virtù di intrinseche qualità o di una stessa natura, e insieme del rispetto che perciò pensiamo ci sia dovuto o di dovere a noi stessi;

offesa, umiliata e derisa spudoratamente;

e infine, rinchiusa in quel oscuro canto delle mie prigioni dalle pareti sorde e impenetrabili, perfidamente erte come angoscianti creature che emergono dagli abissi di una terra cancellata, mentre io dall’altra sprofondavo, risucchiata dalle acque stantie di una palude scura, vischiosa, fradicia di torba nera e senza fondo. 

Non respiravo più, mia viva morte.


La libertà non è una sola, ed è un bene che sia tale. Ha mille facce come la viola che, piccola e delicata, sorge spontanea in un tripudio di colori e forme. C’è chi la vive dentro, chi la cerca fuori, chi la paga con lo stesso sangue, chi la liquida per un tozzo di pane - non se ne fa niente. O chi, come Grossman, in essa è a dipingere l’anima di ogni singola vita che risiede nella sua irripetibilità, nella sua unicità.

Non respiro più, da quel giorno oscuro.


La sua diffidenza mi si è incollata addosso. Mi si è spalmata sulla pelle come il fango abissale che indolente è a foderare gli oceani in profondità. Non mi molla nemmeno quando dormo. In virtù di un’appartenenza al genere qui femminile sono diventata astuzia, inganno e artificio.  

Così dice. 

Così sa.

E così è convinto.

Ogni gesto, foss’anche il più ordinario, come aprire una finestra, chiudere una porta o andare in bagno, si fa trama oscura e malizia. Ogni cosa, foss’anche la più banale, come una macchia, un fazzoletto di carta, un rotolo di carta igienica, si fa segno evidente e testimone del misfatto, consumato in ogni luogo e ad ogni ora. 

Così è perché son donna.

Ed ecco che cala la notte su quegl’occhi - limpidi, feroci e splendidi - di chi si sente libero anche solo per un istante [VASILIJ GROSSMAN]

Non respiro più da troppo tempo, mia amara sorte.


La libertà, ho appreso, non è più sacra di una gallina a cui si spezza l’osso del collo per calarla nel brodo la domenica mattina. Non è ovvia, non è scontata, non te la trovi né acquisita o indotta e trasmessa, non te la regalano sulla soglia di un passaggio a un’età pur maggiore tanto attesa. La libertà è una condotta dello spirito che percorre i sotterranei più remoti dell’anima come un fiume che si inabissa alle porte di una caverna e scompare sottoterra per una lunga notte prima di tornare a respirare ancora a cielo aperto. E come lui è a ricordare la sua presenza silente nei giorni agitati di piena, quando la pioggia si abbatte imponente e il suo alito di vita risale l’abisso con violenza. La libertà non la possiedi, è lei che ti entra dentro, ti abita, ti riempie e non ti abbandona, a rischio di costarti il sangue.

Per sentirla la devi amare.

Per viverla devi lasciarti andare.  

 Solo così respiro ancora, mia essenza.


Voglio la libertà e per la libertà combatto [VASILIJ GROSSMAN]. Voglio muovermi liberamente, senza il fardello di uno sguardo ottuso a molestarmi, senza l’impiccio di deliri e vaneggiamenti ad asfissiarmi. Come l’orda di un invasore che con prepotenza è a piazzare in terra d’altri i suoi vassalli e le loro corti, così lo sguardo cieco, ottuso e corrotto è a ingombrare il suo mondo insieme all’altro con i fantasmi dei suoi stessi inganni annegando la nuda realtà, libera e assolta, in una torba di cadaveri tra fiumi di carcasse alla deriva. 

Voglio respirare sempre, mia anima viva, all’alba, in inverno e in estate, nelle notti scure di tempesta e in quelle terse, anche quando le stesse notti si fanno oscuro sepolcro, in una stanza oltre l’oceano relegata, con il peso del suo sguardo traviato addosso.  

Del resto, dacché un mondo è nato, sono solo una puttana.


Metilde S