Il mondo dentro una panchina | Del resto sono solo una puttana

 Mia amata Dafne.


Capita che la sfortuna ci perseguiti per un bel po’, e che non ci riesca di fare nemmeno le piccole cose; e poi capita la svolta: la fortuna ci arride e tutto va a posto da sé, quasi che sia il destino a offrirci soluzioni comode, rapide e facili per ogni preoccupazione. [VASILIJ GROSSMAN]


A Yura il destino non aveva altro da offrire. 

Se n’è andato. 

Si è spento lì sulla sua panchina, ermo, nel silenzio e nell’indifferenza di una città meschina e ipocrita in terra nostra. Abbandonare la propria, insieme alle sue radici, ai suoi affetti, all’etimo di una stessa stirpe non gli ha reso la fortuna vagheggiata, e di 

batterla e urtarla, volendo tenerla sotto, perché donna [MACHIAVELLI]

non ne aveva cuore, mia coscienza. 

La panchina era tutto quello che aveva. Era il suo posto in questo mondo, la sua casa, il suo rifugio, il suo rimpianto, il suo respiro, il suo ingresso in quell’altro  - che gli sia più lieto!


Benché seduta umile e incolta, la panchina accoglie, abbraccia, custodisce ciò che il mondo scarta. Più autentica e liberatoria di un confessionale essa invita al ristoro dalla frenesia, dalle fatiche, dai travagli di una vita senza indugio e solo parto di una mente isterica e impaziente. Impavida e ferma nella sua posa mai distingue il pellegrino, mai condanna il fardello, mai giudica un bene e male. Solitaria in apparenza è l’alleanza che ispira, piccola grossa magra, bella buona dolce, niun disdegna, mia compagna. 


È così che ha scelto Yura.

È così che ha sedotto me, quegl’infausti giorni, in fuga dal delirio della sua rude gelosia, morbosa, ossessiva, assillante; all’ombra di un eucalipto dalla pelle sbiadita come il cielo velato d’inverno che del distacco fa tesoro per risorgere, rustico e resiliente; immersa nella luce profusa dal sorriso di un sole nell’animo candido ancora timido e incerto; in attesa, ore e ore, che lui finisse di lavorare, respirando spazio e vita prima di tornare a scomparire negli abissi di una notte torva e inquieta, in casa non potevo stare, mia essenza.   


Non vi è luogo che non si faccia mondo, e non ci vuole la guerra per svelarlo. 

Una banchina della metropolitana

un corridoio seminterrato 

un'arcata del ponte 

un angolo di pavimento al capolinea 

una panchina dimenticata - 

foss’anche in assenza 

una sola proiezione 

un pensiero incancrenito

un ruolo per definizione -

un talamo violato, un’Io sequestrato, un punto di vista, una scelta di prospettiva da cui saggiarne i contorni. Yura ha resistito dentro, io la dentro mi sono arresa. Ma lui era pien d’orgoglio, mentre io, sulla stretta via, l’ho perduto, mia arcana.

Del resto, tu lo sai, così è detto, sono solo una puttana.


Metilde S