Il seggio dei beati | Del resto sono solo una puttana

Mia amata Dafne.


Ormai non fa più male come prima. Ho preso le distanze da ciò che in apparenza si proponeva come una disabitudine, una tendenza a rinnovare determinate esperienze, ma in realtà è la sua natura. 

Ho pianto.

Ho chiesto.

Ho pregato.

Perché mi ascoltasse, lungamente.

Ho invitato.

Ho motivato.

Ho coinvolto.

Perché non si assentasse, pazientemente.

Ma la percezione del vuoto, il dolore per la sua mancanza in quel luogo, in quella vita insieme è solo mio, agita il mio di cuore, affonda me.

A lui tutto ciò non riguarda, non lo impressiona, non lo sfiora.

Così è fatto. E a lui così piace, mia sventura.


A lui non piace invece sedere a tavola, insieme, per mangiare. Il suo posto è sullo scanno, a pochi metri, spalle al muro, il piatto appoggiato sul bidone dell’immondizia - il seggio dei beati. È da lì che domina la scena.

Come se pagasse dominare.

Poco importa che il tavolo in quel preciso istante di una realtà comune, segretamente, poeticamente, rifletta il cuore di una stessa in cui riunirsi per vivere un tempo, il più prezioso. La famiglia e l’amicizia in quanto aspetti divengono centrali, come l’individuo in essi accolto. 

Per tirare il fiato, riposare in sé e godere “a pieni sensi”.

Sedere insieme a un tavolo e consumare un pasto ci dà spazio per condividere, scambiare e comunicare ciò che siamo, foss’anche solo, come già altrove, adagiati in cerchio intorno al cibo. A conforto le parole, mi ricordo, un lontano giorno giù al porto, mai sbiadite…  

La tavola è come una tela dipinta che ci insegna che “oggi” è una volta sola. L’immagine dipinta svanisce alla fine della giornata, ma il suo ricordo resta scolpito nella mente delle persone che erano sedute al nostro stesso tavolo. È qualcosa che i soldi non possono comprare, e che resta proprio in quanto svanisce.

[BANANA YOSHIMOTO]


Poco importano a lui, mia bontà, queste mille vane inezie. E a me non fa più male come prima, mangio uguale, siedo sola, alla tavola che lui stesso, a suo piacere, ha scolpito. Almeno è ciò che mi dico, lì seduta, nel silenzio di quell’assenza, nella solitudine di quel dolore. 

Del resto, a che dio mi appello, sono solo una puttana.


Metilde S