La nascita nella libertà | Del resto sono solo una puttana

Mia amata Dafne.


Accade ancora che uno stesso mondo, ora risvegliato da un male sonno dell’inconscietà dolosa, dell’ottundimento psichico si affanna goffamente a reclamare ciò che finora ha trascurato, eluso e disatteso…

vuole parlare, inneggia al dialogo, cerca l’intesa. 

Tutto questo ancora una volta al solo scopo di salvar la pelle all’insospettata apparizione dell’intollerabile, del terribile, dell’incontrollabile sulla scena dell’esistenza. Finora distratta, ipocritamente simulata sotto il manto dell’ostentazione di buoni sentimenti, tolleranza e benevolenza da un lato e di moralismi puritani dall’altro, la stessa ha solo smesso la finzione e si mostra ora nella pienezza di una furia travolgente. 


Ora lui, mia ragione, vuole parlare. 

Lui che finora ha chiuso gli occhi, si è voltato dall’altra parte, ha imposto il silenzio, ha lasciato che a torturarsi, a struggersi, a umiliarsi fosse l’altro. Lui che finora ha respinto ogni supplica di parlare. 


Ora lei, mia grazia, vuole parlare.

Lei che finora ha usato farsi scudo della posizione e del pensiero a dichiarare il dialogo mai un atto dovuto e così a trattarlo al pari di una concessione. Lei che finora ha declinato ogni invito a parlare.


Ora lui, mia decenza, vuole parlare.

Lui che finora si è barricato dietro il silenzio sola arma per punire e castigare, non li vuole affrontare certi conflitti a sgomberare un campo fitto. Lui che finora ha insultato ogni desiderio di parlare.


Ora lei, mia modestia, vuole parlare.

Lei che finora si è cinta i fianchi di silenzio, incurante e riluttante, scarsamente disposta a prestare attenzione e considerazione. Lei che finora non ha mai trovato il tempo per parlare.


Il dialogo, altro dalle parole vane e inconcludenti, dal pettegolezzo, dalle false voci, dal balletto persuasivo, è invece quel sussurro dell’anima che alla pari di una timida campanula bianca a primavera si insinua oltre una trama fitta dell’oscurità in cerca della luce per rivelare sé stessa. Non è la salvezza a cui s’ingegna di mirare, è la vita a costo della perdita che anela. Il dialogo ora 

è forza di penetrazione, come l’affondo della spada, della lancia, della daga, 

è guerra di pensieri e parole, corpo a corpo, estraneo a un gelido distanziamento apollineo. La passione impetuosa di Marte fa sì che la guerra avvenga nella carne viva dell’anima. Una carne che a richiedere è il proprio tributo di sangue affinché possa essere dichiarata veramente nostra; altrimenti rimaniamo soltanto dei coloni, ancorati nelle viscere a un’altra madre, segretamente suoi servi, e non compiamo la nostra nascita nella libertà. Dai vasti confini di quella stessa carne riecheggiano le parole qui di Machiavelli che invogliano il principe condottiero a

imparare la natura de’ siti, e conoscere come surgono e’ monti, come imboccano le valle, come iacciono e’ piani, et intendere la natura de’ fiume e de’ paduli, et in questo porre grandissima cura. La quale cognizione è utile in dua modi. Prima, s’impara a conoscere el suo paese, e può meglio intendere le difese di esso; di poi, mediante la cognizione e pratica di quelli siti, con facilità comprendere ogni altro sito che di nuovo li sia necessario speculare: perché li poggi, le valli, e’ piani, e’ fiumi, e’ paduli che sono, verbigrazia, in Toscana, hanno con quelli dell’altre province certa similitudine: tal che dalla cognizione del sito di una provincia si può facilmente venire alla cognizione dell’altre.


Ora per lui e lei, mia amata, non è più un mistero. Vi è un tempo per parlare, e un tempo per morire. A ognuno il suo affare.

Del resto, ne so io qualcosa, sono solo una puttana.


Metilde S