La fine che non c'è | Del resto sono solo una puttana

Mia amata Dafne.


Ci fu un tempo, sembra ormai lontano, in cui ero in grado di vedere la fine. La adoro. Anche quando è di tutto. Ha qualcosa di liberatorio. Anche quando fa solo male, in quel momento. 

Rassicura.

Incoraggia. 

Dà la forza.

Specie in quelle notti nere, dense, tombali, in cui l’incubo si fa infinito abisso, s’annega ogni fede e il naufragar m’è gelido e pungente. Specie in quelle stesse notti di pieno inverno, in cui tutto sembra inafferrabile e anche il sole solo un ricordo.


Ci fu, quel tempo, mia visione. Oggi, lo ammetto a malincuore, non la vedo. Non riesco più a vederla, la fine. Mi sento smarrita senza di lei, angosciata e tormentata, come un’anima del limbo, serrata nell’abbraccio di un cronico immobilismo, estranea al conforto di un presente ancora vivo. Ergastolana refrattaria, trattenuta in una odiata condizione morbosa che apaticamente si trascina senza mai toccare il fondo. Non v’è fine, mio tormento!

Non v’è fine all’avanzata di un delirio che a devastare è sempre solo chi lo incassa.

Non v’è fine al veleno che in corpo scorre amaro, già sputato su quell’altro. 

Non v’è fine all’arroganza di una mente sì cruenta che a imporsi è sulla vita di ogni altro suo eguale.

Non v’è fine, mia sevizia!


Senza lei son morta dentro. Mi consumo fra le pieghe di una languida esistenza dal respiro già estinto, sepolta nell’abbraccio di una farsa che a eccitare è solo il riso dello stolto fuor di senno. Il marchio a neutralizzare ogni dialogo, ogni confronto che penetri me e lui, non ho scampo.

Del resto, vuole il fato, mia eterna, sono solo una puttana.