Il pattume di un preconcetto | Del resto sono solo una puttana

Mia amata Dafne.


Vi è un aspetto nell’intera vicenda, uno dei tanti, umilmente, che per la sua intima tossicità è ad effondere tutto il suo potenziale distruttivo sull’anima di quell’altro bersagliato, perseguitato e vessato. La lettura indiscriminata e arbitraria della storia altrui - una storia che, per inciso, è imbevuta di stracci e scarpe consumati su quel cammino di una propria vita - bruciata sulla sola base di idee o giudizi abbozzati in modo irrazionale, frutto di prevenzioni, di convinzioni ideologiche, di sentimenti istintivi non confortati da indagini, conoscenze, esplorazioni dirette è un atto di inaudita barbarie e brutalità. Basta lo sguardo a fondamento di un agire per cancellare, uccidere, annientare l’altro già eguale, non serve l’artiglieria, mia virtù. 


Ostaggio dell’interazione, chi subisce la tirannia di un tal arbitrio sperimenta costantemente la negazione della realtà a lui propria: spogliato di ogni intima verità è calato violentemente in quel limbo dell’inesistente. È ciò che mi tocca ogni giorno creduto nuovo. Lui si sveglia e io sparisco. Quel che domina la mia assenza è il pattume di un preconcetto a ispirare il quotidiano. Nell’avidità di un esproprio lui è addirittura a privarmi del passato

il mio in forza di un’appartenenza 

sferrando un’incursione che mi turba profondamente, mia amata confidente. 


Ogni evento di un trascorso, intimo e soggettivo, il più doloroso confessando, è fatto a brani e oggetto della più selvaggia rilettura sullo sfondo, sempre quello, del peccato, della colpa, dell’infamia a me imposta. 

Se mio padre è andato

sono io che l’ho ucciso, non ha retto alla miseria di un abominio. 

Se mia madre mi ha rinnegata

sono io che l’ho indotta, era stanca della vergogna.

Se un compagno mi ha lasciato

sono io unica rea, gli conveniva un miglior partito.

Il mio dolore è la giusta pena per una vita di perdizione.

Le mie piaghe sono il giusto prezzo per una vita di corruzione.

Secondo lui, mia dannazione.


È una lettura barbara, la sua. Non risparmia nulla, di mio

Sbrana, dilania, strazia. 

Fa a pezzi. Anche quello che non ha mai visto. Non c’era. Non lo tange, non ne ha bisogno, a lui ogni presunzione di sapere; la stessa che non da spazio alle intime verità di una storia di quell’altro già eguale, autentica, palpabile e vibrante.

Schiaccia, soverchia, spegne. 

Non c’è bisogno di un parassita per soffocare. Basta lo sguardo a fondamento di un agire, mio respiro.


Non ho il dono di sapere, non ho maschere a celebrare l’illusione, non ho toghe a servire la condanna. Ho l’onere di ascoltare, ho il vincolo di sentire, a corazza neppure il velo di una sottana,

sono ignuda, mia sorgente, del resto sono solo una puttana.


Metilde S