Quell'infausto senso di confusione e disorientamento | Del resto sono solo una puttana

Mia amata Dafne.

Mi corre l’obbligo di un’introduzione, non è certo cosa nuova il contenuto che avanzo. È noto a noi nel mondo un ampio codice non verbale a favorire lo scambio di comunicazione al di là delle parole, abuso e ingegno. In essenza assai arcaico, lo stesso è a risalire alla notte dei tempi; una notte in cui avi e antichi furono soliti a comunicare fra loro attraverso azioni e movimenti corporei come i gesti, la mimica del volto, lo sguardo, le grida e altri richiami vocali. Una dimensione della comunicazione dal sapore intrigante, largamente indagata e al tempo stesso sfuggente, essa influenza, modifica e crea relazioni coinvolgendo i soggetti comunicanti; e a stimare la sua complessità chi vi pone attenzione si trova a vivere un senso di confusione e disorientamento.

Quello stesso, mio rifugio e asilo, che mi investe con prepotenza quando lui è a inchiodare uno sguardo sempre lì, alle mie pudenda. Ad ogni riapparizione dopo un allontanamento mio o suo - foss’anche per le pulizie nell’altra stanza, in cucina, in bagno, o per uscire a prendere le sigarette al tabacchino - lo sguardo si posa, insiste, indaga alla ricerca delle ovvie tracce di un’infamia appena consumata. Non lo sopporto, quello sguardo bulimico, invadente, offensivo; mi molesta, mi disturba, mi indispone. Basta lui, fra le pieghe di un silenzio denso di accuse, a farsi percussore al soldo di una fissazione che mi vuole sempre adultera. 

Pietrificante, reificante, alienante, l’Altro mi getta addosso il suo sguardo di Medusa [Emilia Bezzo | L’inferno sono gli altri: lo sguardo dell’altro secondo Sartre],

e io mi struggo, mi infurio, impazzisco di fronte ad esso, segnando a nuovo la mia condanna. Non ne esco.


E ancora, mio destino e fatalità, quello stesso senso di confusione e disorientamento che mi investe con prepotenza quando lui è a girare per casa ripetendo a bocca chiusa quell’urtante “ha hmmm”. L’allusione è mirata, il richiamo studiato, il colpo sferrato - come un pugno nello stomaco direttamente. È il segno della prova rinvenuta, ancora una volta l’infamia si è consumata, 

così crede, 

così è ad accertare, 

così è a siglare l’eterna condanna. 

Ogni parola è superflua. Lui ha già visto. Non gli serve altro. Devo solo star lontana, sono indegna, ripugnante e luridamente rea. Oramai, lei dentro, è una ferita che gronda di sangue, non si arresta. Mi dispero, impazzisco, mi tortura quello stesso verso, ribadito, anche quando è una beffa, uno scherno, una finta. Non distinguo, non sono più in grado, non discerno. Scivolo, precipito, sprofondo e basta. 


Ed è sempre uguale, mio calore ed essenza, un senso di confusione e disorientamento che mi investe con prepotenza quando lui è a trattarmi come un’appestata, raminga in casa propria, dal nulla immotivato. All’improvviso, d’un tratto, inatteso si allontana, sbuffando, non appena gli passo accanto. Si alza, cambia posto, va nell’altra stanza non appena parlo, faccio una domanda - foss’anche solo, 

vuoi il caffè?  

Io non capisco, sono sconcertata, non so neanche cosa sia successo. Glielo chiedo, mi ignora. Insisto, lui si gira ancora. Ragionevolmente sono pienamente edotta, a lui non serve una malefatta, un crimine, una colpa manifestamente agita per colpire, sacrificare, punire. A lui basta un niente.

Il niente, quella cosa che è nessuna, che coincide quasi esattamente con nulla, in nessuna quantità o misura. Filosoficamente parlando, il nulla, a indicare la sostanziale inanità e inconsistenza di ogni realtà

L’apoteosi del castigo. Per niente io sono costretta a scontare la pena. Mi fossi almeno macchiata davvero dell’infamia! relegata in quel canto di una indebita segreta mi trastullerei con il ricordo di un sangue dentro, a stuzzicar l’assaggio, a corteggiarla umida e nera, la narice, ad appagar le membra. Ma così, mia amara sorte, senza il gusto di una trasgressione, di un fallo, di una corruzione è il flagello di una dannazione che a me solo avanza. E mi oppongo, per tornar daccapo. Infiniti sono i gironi, come gli anditi di un bordello e le pieghe di una sottana,

la mia culla, la mia fossa, del resto dove scampo? sono solo una puttana.


Metilde S