Un umano aspetto | Del resto sono solo una puttana

Mia amata Dafne.

Treccani illustre è ad insegnarmi l’ingiustizia in quei termini di un 

essere ingiusto come disposizione naturale contraria alla virtù della giustizia, all’equità, o come comportamento occasionale”

o in senso più concreto di un 

“atto ingiusto, non conforme cioè a giustizia, o che comunque costituisce una violazione, deliberata o no, del diritto altrui”.

Con tutto il mio rispetto per lui e il mondo intero, e dal cuore qui parlando, non me ne faccio niente, sulla via, di un tal formato:

non invasiva nella migliore delle ipotesi

endemica nella peggiore

cronica se non muore una mente corrotta.

Ben più grottesca indigesta e pertanto profondamente angosciosa, mia amata onestà, è quell’essere ingiusto come disposizione morbosa, pure schietta, contraria alla bontà della sostanza che si 

delizia e si diletta 

nel distorcere una realtà fino allo spasimo, placidamente incurante di condurre a morte, vuoi fisica o morale, un altro già eguale e inoffensivo in fondo al cuore. 


Fu questo umano aspetto, mia indole e furia, a turbarmi quel lontano giorno quando barbari li incontrai, gli inverosimili deliri di una repressione sadica e impietosa che votata alle sole attività e azioni violente e intimidatorie e in assenza di un fine scrupolo ha tradito ogni norma morale e la persona nella sua integrità fisica e dignità umana. Muovendo dalla radicata avversione e ostilità verso l’altro - a scelta in ogni data - ebbe luogo la persecuzione arbitraria di coloro che si scoprono spontaneamente a divergere dall’opinione o ideologia comune della setta di riferimento… catari, valdesi, marrani e moriscos, perfino persone (quasi sempre donne) volute streghe sulla base di dubbie prove di stregoneria, con la compiacenza di autori già emissari di ambigui ordini predicatori a indugiare con morbosa insistenza sulla licenziosità dei rapporti sessuali che le stesse intratterebbero con i demoni. Feroci, spietate e brutali azioni, mia grazia e garbo, che non si scolpano nemmeno a liquidarle sante. 


Fu ancora lui, un umano aspetto, a turbarmi qualche anno dopo quando cinici li incontrai, gli inverosimili deliri di una mente cieca e primitiva che sull’onda di mere opinioni rigidamente precostituite e generalizzate, mossa istintivamente da paure, timori e ansie irrisolte, ordisce e fabbrica impunemente allucinazioni e fanatismi sulla pelle dell’altro innocuo e pur distante. Nella furia di un accanimento inteso solo a mirare il bersaglio, ignora ogni limite, varca il confine, penetra e invade a tal punto l’animo e lo spazio di quell’altro che è implacabilmente disposta ad arrostirgli le cervella sulla sedia elettrica. Puoi tu, mia amata essenza, in cuor tuo percepire il tormento e la sofferenza di colui che si trova le chiappe inchiodate alla poltrona, la sola scomoda al mondo, obbligato ad osservare impotente la propria morte, fisica o morale, sull’altare di una brama confezionata dalla mente sì alienata? Io stessa non ho avuto scelta.


Ed è pertanto questo umano aspetto, sempre lui, sempre uguale, a turbarmi ancora oggi quando guardo mio marito, inverosimilmente delirante, il suo volto una maschera di disprezzo e ripugnanza, io segregata in terra aspra, che mi accusa ogni mattina, non fa in tempo ad aprire gli occhi, 

di aver mischiato, dio solo sa, cert’ “intruglio” o “veleno” all’acqua la sera prima, per farlo sprofondare in un sonno intenso e pesante!

di “non avergli dato respiro”!

di “rubargli l’energia”!

di “camminare” tutta notte!


Se non fosse per quel tormento, mio eterno conforto, che ordinario è a obbedire alle sue parole di un incanto ancestrale, alla sua mania di dar per vera la chimera, mi leverei con un sorriso di ironica comprensione, sono cresciuta a pane e storie. Il dolore e la tortura di un castigo spillato addosso, un velo ruvido e oscuro a soffocare ogni mia essenza, che si palesa in quei moti di densa avversione e repulsione per me donna e qui strega, è insopportabile. Il presente non ha più confini e il suo sguardo si fa uno insieme agli altri che ebbero a ordire le trame di una propria e morbosa aberrazione sessuale a partorire succubi ancora femmine che giacciono rubando il seme, che escono dalle porte chiuse nel silenzio della notte, lasciandosi dietro i mariti addormentati, andando poi volando a banchettare e a unirsi carnalmente con il demonio, che confezionano filtri, veleni e unguenti atti a perpetrare le loro delittuose azioni. 


Ogni tessera di un tal riflesso, mia anima e cura, è più inclemente di una lama di coltello affilata alla mola… 

l’ossessivo che martella, 

l’assurdo che strazia, 

l’osceno che penetra 

e una lontananza dalla stessa realtà che annulla…   

una gorgone che si staglia ogni mattina sul volto di mio marito, s’impone nelle sue parole e si rincorre più volte al giorno nelle sue azioni a me rivolte. Un’alternanza di sospensione e ripresa che mi assilla sconfessa e logora in questa danza macabra; a lui ogni giovamento, allietato rinfocolato e attizzato, è a vestire i panni di un vampiro che a nutrirsi è del mio sangue. E la sostanza non cambia, sputata e indifferente, lui sa e ha visto, ha ragione e dice il vero, non è certo un pazzo. Sono io l’artista, sono io quella poco giusta, mia profetica cumana, 

del resto io deviata sono solo una puttana.


Metilde S