Un vile e volgare ricatto | La violenza dentro

Mia amata Dafne.


A cessar gl’inni e i misteri è noto al cuore accorto che la vita è a beffarsi di una tendenza assai diffusa fra gli umani a considerare il mondo “giusto”. È così che un incontro immaginato fine nella malasorte si smaschera foriero di un mito del baratto, qui struttura di significato a permeare una cultura particolare, che ti voglio pur narrare. 


Ebbi modo di conoscere Antonio casualmente e in occasione di una comunissima seduta dal parrucchiere, presente mio fratello. Si trovava lì, come scopro, per il solito congresso di amici a fine lavoro, musicisti e cantanti incluso il proprietario, per il gusto di cantare insieme, di recitare, di improvvisare una ballata, comun diletto e apprezzata sorte. Antonio si è mostrato da subito gentiluomo, di età matura, quasi ottantenne, sposato con la sua signora e padre di famiglia. Nota la mia dedizione alle attività letterarie, ci trovammo a conversare da lì a poco di letteratura, teatro e canzone soprattutto napoletani, di cui egli è conoscitore ed estimatore, nonché interprete stimato in quel del luogo e la sua compagnia teatrale.


Nei primi mesi a seguire mi capitò di rivedere Antonio ancora casualmente e in occasione della mia passeggiata quotidiana in compagnia di mio fratello, esso stesso editore - non ti è estraneo mia somma ispirazione - e di intrattenerci a conversare degli stessi argomenti seduti su una delle tante panchine del Lungomare. Il tempo trascorrendo ne nacque una cordiale amicizia… così intesi.


Fu nel corso di una delle solite conversazioni, era già primavera inoltrata, che Antonio mi confessò il suo desiderio lungamente custodito di veder scritta e editata la sua breve ma intensa storia d’amore, unica per lui nel suo genere e molto sofferta per la tragica fine di abbandono da parte di Colei nei suoi riguardi, qui risalente a un periodo nel passato di quarant’anni orsono. Mi spiegò - mia coscienza - che vi fece un tentativo con una scrittrice qualche tempo fa, ma il progetto non ebbe a superare la fase di un esordio male abbozzato. Veterana di un mestiere precedente di ghost writing e narrazioni di percorsi della memoria, volli omaggiare le nostre conversazioni di approfondimento sul teatro e la canzone napoletana, nonché le sue libere attività di attore già note, proponendogli, e in presenza sempre di mio fratello editore, di redigere un piccolo libretto teatrale, ad ispirazione la sua storia d’amore, una leggera rivisitazione di Romeo e Giulietta tutta meridionale. Antonio ne fu entusiasta fino alle lacrime e fu così che mi misi, seduta stante, quaderno alla mano, sulle stesse panchine del Lungomare a prendere appunti. Benché le premesse assai profuse fossero quelle di una storia d’amore fuori dal comune per quei tempi, ebbi modo di scoprire, strada facendo nel suo racconto, che in realtà si trattò di una comune storia carnale consumatasi tra Antonio, allora quarantenne, e la sua amante di vent’anni più giovane di lui. Non giudicando e condannando le passioni altrui ne presi semplicemente atto e nel rispetto degli stessi amanti e della loro intimità decisi di non procedere al racconto di una banale storia di letto - più appropriata in tal’altre sedi, mia virtù - ma di mantenere le premesse originali di una storia d’amore in rivisitazione di Romeo e Giulietta, traendo soltanto spunto dal racconto in memoria di luoghi, tempi ed elementi reali di circostanza. In un primo momento Antonio ne fu deluso, ma comprese le mie ovvie riserve e non si oppose. Da lì a poco vide la luce il componimento di base, un inno all'amore libero da gravami e pregiudizi di sorta, un messaggio di risveglio in epilogo, a noi tutti così rivolto.


Nel frattempo - mia ragione e forza, vuole la stessa vita -  fummo (mio fratello ed io)  il bersaglio di diverse circostanze avverse, alcune a rischio di cagionare danno permanente alla mia salute, che misero a dura prova il già precario livello di sussistenza, gettandoci letteralmente in mezzo alla strada. Antonio non fu a conoscenza della nostra situazione personale, non siamo soliti al lamento e per nostra natura, da sempre, molto restii alle richieste ufficiali di sostegno o d’aiuto, ma ne seppe qualcosa per bocca di terzi e si offrì, spontaneamente, di aiutarci in nome di un’amicizia sì cordialmente discesa. Volle insistere nel darci accoglienza per qualche settimana in quella casa allora sfitta della cognata, era luglio, la famiglia già informata e pur d’accordo. Disattese le nostre aspettative, quasi certezze, di poter risolvere altrimenti e autonomamente, accettammo infine l’offerta in via temporanea.


Fu in una delle rarissime circostanze, in cui mi trovai sola con Antonio a interloquire sulle panchine, le solite sul Lungomare, che egli si dichiarò per la prima volta, cautamente esordendo, spregiudicato divenendo in un tempo successivo. Mi confessò il prodigio di cui si vide beato, per lui inaspettato, dopo tanta assenza… già al primo incontro, alla prima vista di me dal parrucchiere, ebbe un sussulto, inequivocabile, in quelle parti basse; il suo membro fu destato, si scoprì eccitato sessualmente nonostante già il medico lo avesse disilluso, l’età qui avanzata giustificando. Non fu amore, quel sentimento, ci tenne a sottolineare, è la sola carne che reclama, interrogandomi sull’eventualità anche futura di voler gradire di coricarmi con lui.

Pur lieta per lui e il suo risveglio - mio cuore e pena - gli palesai inconfutabilmente l’assoluta impossibilità, presente e futura, che ciò avvenga: non sono qui per questo, la nostra conoscenza non lo ha MAI né previsto né contemplato, non sono interessata all’offerta… lo invitai piuttosto a deliziarne la sua signora, pur attraente, nel rispetto di ogni sorte.


Sulle prime s’impermalì, denigrò doviziosamente la sua signora in quanto donna al mio cospetto, tanto da suscitare in me un profondo imbarazzo per la stessa e la sua natura. Lo misi al corrente di ciò e lo invitai con il dialogo a voler evitare manifestazioni tali di disdegno in mia presenza e a voler, piuttosto, cambiare lo sguardo su di essa apprezzandola nella forma e ricchezza d’animo. Fece fatica a cambiare rotta, ma infine comprese e si scusò. La conversazione terminò, il discorso si chiuse e lui tacque ritornando a toni più miti e cordiali successivamente.


Ricapitò - mia viva ostinazione - più in là e casualmente, che ci ritrovammo a interloquire sullo stesso Lungomare. Questa volta Antonio si mostrò più sottile nel ricatto: “non sono certo ricco, ma ho saputo aiutarti nel bisogno con piacere, sono stato carino con te, ora tu puoi fare lo stesso facendomi leccare il tuo sesso.” Fui intimamente sconcertata dall’inaspettata “richiesta di scambio”, assai lontana dalle mie consuetudini e nella mia forma decisamente impropria, e glielo palesai con fermezza. Il dialogo mio strumento, resi chiara ad Antonio la natura delle premesse qui di scambio, le quali sono e furono del dono e dell’omaggio e MAI della vendita. Rifiutando io ancora l’offerta egli diede a impiegarsi nelle più banali seduzioni prospettandomi, in forza di una competenza accertata lunga una vita e acquisita dalle stesse dame di un bordello dei tempi suoi di giovinezza, un godimento paradisiaco e di conseguenza un ulteriore benessere pure fisico: si diceva “preoccupato dei miei bisogni fisiologici sessuali” – MAI toccati con lui in alcuna maniera nelle nostre conversazioni, poiché appartenenti alla MIA sfera personale e riservata – e proseguendo nei suoi elogi di prestanza “in grado di soddisfarli appieno”. Senza nulla togliere alla sua maestria, declinai di nuovo l’offerta con forza. Al che, impermalito, Antonio si scostò disgustato: “Ma che donna sei?! Come fai a rifiutare un tale godimento? Non ho mai incontrato nessuna come te!” Nel pieno rispetto delle volontà e consuetudini delle altre signore, lo invitai a rivolgersi alle stesse per le sue pene e mi congedai.


A distanza di qualche tempo accadde una terza volta - mia antica trama - che nel mentre di una solita conversazione Antonio si espose con la pretesa esplicita di ritenere che io fossi in obbligo di cedere alle sue insistenze poiché colei già “responsabile” di avergli risvegliato il membro e riacceso il fuoco. Mi trovai a rifiutare energicamente e irritata, il sottinteso or manifesto, mi allontanai dal luogo in cui sedemmo, sempre e solo un Lungomare. 


Qualsivoglia sia il campo, mia fidata, nella nostra società siamo spesso esposti a un gergo dell’aggressore. Le parole feriscono e ripetere le loro distorsioni minaccia di leggere il corpo, di una donna ancora e oltre, come se fosse una proprietà, un oggetto su cui campare un diritto, solo e sempre a violare. L’offesa della molestia e dell’abuso è ad accendersi pure senza l’impiego di una forza bruta. Più della violenza spesso mezzo di violazione sono l’intimidazione sottile, le astute tecniche psicologiche, le strategie emotivamente coercitive a rivelarsi più efficaci nel rendere docile il corpo da soggiogare. Lo annunciai in quell’altra sede, mia dolce profezia, …

non è celeste

la mente che ordisce 

il governo indiscusso

di un Altro assoggettato.


Metilde S