Il mercato della carità | La violenza dentro

Mia amata Dafne.


La sera affonda… la notte avanza… e insieme a lei l’oblio bugiardo e ingannatore. Nella morsa dei ghiacci di ogni bene mercificato il cuore non si acquieta e a te si confessa. Protagonista il risvolto amaro di una società che si taccia, si imbratta, si cinge la fronte e molto altro di buonismi, visti, vissuti e goduti da chi si trova, suo malgrado, a sostenerla quella parte di un barbone, di un disgraziato, di un nullatenente (salvo sé stesso in fondo al cuore), pure senza tetto e sulla panchina, sempre lei, in quel parco di una stazione già nonluogo: un fermoimmagine, un dipinto, una fotografia. Nulla più, per il momento.


Ciascuna di loro, le società, bell’e brutte, rei fantocci di una mente ignara e dalla stessa trama di un fuoco fatuo, si compongono di un elemento, quell’Uomo in genere e già disperso, che sì schiavo dell’illusione mai si nutre di un Amore, dichiarato e glorificato, ma piuttosto dell’abuso, palesato in ogni forma e parto della stessa mente che del limite ha fatto un’arte.


Già la base ha inquinato, quello scambio elementare e vera arte divin natura, vestendo i panni di un mercenario, sempre servo del tornaconto - anche, e proprio qui creativo, quando si tratta di far del bene.


Accade oggi, mio antico genio, in quello spazio già nonluogo, il contesto di una stazione, di un parco, di una donna senzatetto, disgraziata e pur barbona. Dalla prima ora di uno sbarco l’aria si fa greve, con gli occhi puntati addosso, lo sguardo incollato, spudorato e affamato che già ti vuole penetrare senza il garbo di aspettar l’invito. É lo sguardo di quell’uomo detto maschio, dal più giovane all’ottantenne, che s’illude

di essere meglio

di essere buono

di essere ganzo

cercando in lei la sola carne, diffamando l’Altro in sua presenza.


Dallo sguardo alla caccia e al pedinamento il passo è breve, mia amata sorte, ovunque lei si sposti, a mo’ di ombra cupa e infausta in attesa di risucchiarla. Mai pago di nulla nella sua vita pur tanto ricca, quest’uomo detto maschio non si fa scrupolo di piazzarsi, maleducato e ingombrante, a due metri da lei assorta nelle attività vuoi quotidiane di ogni essere nella sua natura, fingendo malamente di fare una telefonata all’amico immaginario e campando storie su quei tanti soldi, spesi bene per viaggi e case, in giro per il mondo intero. Tutta piena sta sceneggiata, in sé già pietosa, è ripetuta ossessivamente, in ogni momento della giornata, a ogni presenza di una lei nel parco e nei dintorni, se giovanissima tanto meglio.

Inarrestabile nella sua avanzata questo stesso uomo detto maschio si accosta a lei - e ogni volta è la stessa storia - fingendo di essere in forza al Corpo di Polizia di uno stato non più sovrano, italiano e pur campato, mostra fiero un distintivo, di plastica da quattro soldi, per chi almeno lo distingue. Segue in un solo fiato, in stile imbonitore da mercato, l’illustrazione di uno stato patrimoniale pur gonfiato che termina con la manifestazione esplicita del desiderio di trovare compagna per quei momenti di solitudine, da venerare come una regina. A rifiutarla la sua offerta, seppur in toni assai cordiali, cambia l’aria all’istante: lei assurge a dea puttana da maledire a ogni tappa.


Ora è lui, mia viva essenza, quello stesso uomo detto maschio, commerciante purosangue, qui già sulla settantina, così buono in fin dei conti da covare sempre il desiderio di aiutare lei in difficoltà. Nientemeno si presenta, disinvolto e spontaneo, una sera sulla panchina per offrire libero alloggio - ha già chiaro l’esigenza - in quel di un appartamento di proprietà e pure sfitto solo in cambio di una cena, di un pranzo in compagnia, di amici così per bene e cotanto acculturati da godere già il preannuncio di un gusto sano di conversazione. Anche lui lo digerisce male il rifiuto pur cordiale di un'offerta sì allettante, salvifica e confacente, tanto da lasciargli quell’acidità cronicizzata e giusta causa di ogni sputo sì livoroso.

A salire in su d’età, mia amata, è ancora lo stesso uomo detto maschio che in nome di un cuore buono e puro a tal punto da apparire lui, al mondo intero, sempre il povero sì ingannato da colei già nata Circe, si prodiga in offerte di piatti, i più abbondanti, da spiazzare pure la famiglia. Non pago si esalta a sostenere anche certe spese, in sue veci e a sua insaputa, senza che gli fosse fatta in merito una richiesta… tutto solo assai spontaneo ad assecondarlo quel raro cuore generoso e in cerca dell’amicizia, unica e vera cosa sacra. Vuol la sorte che anche qui, implacabile e perentorio, giunga pio il momento di richiedere ciò che spetta. E così lui generoso sussurra a lei or bell’oggetto di un desiderio assai carnale le parole inaspettate: tu lo sai quale sacrificio, gran piacere senza dubbio, è per me qui aiutarti, non sono certo ricco. Sono stato assai carino, ora tu puoi far lo stesso, lasciando che ti lecchi il sesso, son sicuro che ti farò godere, voglio solo il tuo bene.


Nel rispetto di una sua grand’arte, anche qui l’epilogo è vecchio - al rifiuto pur cordiale dell’offerta sì profusa, quel bel volto si fa disprezzo: mi hai deluso, ti tolgo tutto, non ti voglio più nemmeno bene.


Da non scordare, mio antico lume, c’è anche lui, uno stesso uomo detto maschio, ben più giovane e intraprendente (vuoi l’età a consolarlo), meno attento ai preliminari e più avvezzo ad arrivare al sodo, che la segue e poi l’attende, quella lei sì bisognosa, alle otto già di mattina (orario noto, va a prendere il pane), in quel di un vicolo non sospetto. Vuoi scopare, che ne dici, c’ho appartamento, siamo amici. Non desiste e va avanti in questo modo fino a sera, quando a forza e minacciando, sono costretti a intervenire i compagni di una sorte lì nel parco cittadino.


Vien la nausea a raccontarla ancora la realtà di questo uomo insano detto maschio e tanto buono in quel contesto di una stazione, di un parco, di una donna senzatetto, disgraziata e pur barbona. Tutti sanno e qui è normale che a far del bene si ha d’avere in cambio. Al paradiso dopo morto non ci crede più nessuno, e all’inferno condannati siamo già abituati.


Perché allora esser fessi e regalarlo quel mantello, che magari è firmato e tiene pure caldo?

Ci vendiamo giusto il bene, a guardare intorno pur conviene e ci appropriamo di tutto il resto. Un grande affare per colui ch’è buono (sì diffuso il sedicente), la fa franca in ogni caso, tanto... a farlo fesso quell’Altro ci ha già pensato lei, la vita, mia abile geometria.


Metilde S