Un militare ignavo | La violenza dentro

Mia amata Dafne.

 

È l’ennesimo abuso di autorità per mano di un sottoposto, nella fattispecie l’ufficiale destinato all’accoglienza del cittadino in quel di una portineria di Stazione, pure Compagnia, che in affido al vento e nella pena qui ti narro.


Una mattina, nemmeno tardi, di quel dì ormai trascorso mi presento a lui per interloquire con il Comandante in merito alla richiesta di presentazione di istanza di ammonimento al Questore (già di loro competenza) in materia di molestie subite dalla sottoscritta. L’ignavia addosso, abbandonato sulla sedia e un ghigno stampato in volto, il graduato mi informa non esserci nessuno in tutta la casa, né ufficiali, né sottufficiali, di Stazione, di Compagnia – insomma, soltanto lui, a detta sua, alla porta e una casa svuotata d’ogni organico in odor di assenteismo. Non pago egli aggiunge, il riso sardonico abbonato, che in nessun orario della giornata in questione, a disposizione, vi sarebbero stati funzionari di sorta, di tornare l’indomani, forse avrei trovato qualcuno, del resto le molestie non sono cosa importante. Basita, l’atteggiamento tracotante inammissibile, chiedo di conferire con qualcuno, nominalmente, della Compagnia di casa. Il graduato, sempre divertito, insiste sulla posizione di riluttanza, dà conferma dell’assenza generalizzata e mi invita ad uscire. Abbandonato il luogo, or fuori dai cancelli, telefono al centralino che senza alcuna esitazione mi passa un altro graduato della stessa sede, al lavoro nel suo ufficio, il quale mi invita cordialmente a colloquio seduta stante. 


Ciò premesso, mia fidata, è fatto increscioso e di dubbio gusto etico che un uomo, la divisa pur vestendo e per questo in obbligo, il piano umano tralasciando, di accogliere con la dovuta serietà la richiesta del cittadino, si permetta di giudicare il grado di importanza di uno stato di disagio, ignorandone a maggior ragione i contenuti. L’aria di sufficienza in cui si gongola un tal soggetto discorrendo di molestie al cospetto di me donna evoca il sospetto di un’indifferenza qui ostentata, quella stessa che si fa complice di colui che esecutore è materiale di ogni iniqua malefatta. La sede risulta impropria – se di propria è il comun parlare – e pure inopportuna è la negazione di un’ammissione al personale pur presente, atto, questo, meramente arbitrario e lesivo di un diritto di accesso ora proprio alla giustizia e alle tutele di legge. 


Ben vengano le parole quando narrano la realtà, in questo caso assai tradita, quella tanto decantata e pure sbandierata in piazza, di una “Etica del Carabiniere” che in quanto guida qui abbraccia tre elementi detti base, una consapevolezza dei principi e del proprio ruolo, la “divisa” di una particolare responsabilità e la partecipazione quotidiana ai bisogni delle persone


Non aggiungo altro, in questa sede, mia eterna sorte!


Metilde S