L'umano è stupratore | La violenza dentro

Mia amata Dafne.


La veste inganna, baratta e tradisce. E a chiamarsi fuori non vi è guadagno - immemore è la sola spoglia. D’altronde siamo TUTTI dentro, l’accaduto, e incollato il deretano al solo scanno a me votato, quello ingrato,

della vittima

della donna

della molestata

dell’aggredita

dell’ignorata

apprestato nell’isolamento,

quello stesso mi concede, almeno lui, di VEDERE già le ombre di un agire creduto acconcio, di cui ti voglio qui narrare.


[1] VEDO Carabinieri navigati che, in fase di intervento, la pistola spianata, atterrano un uomo, disarmato, non più giovane, già spontaneo in posizione di resa. Cinte le manette ai polsi uno di loro si allontana di qualche metro, e, appoggiate le mani sulle ginocchia, viso a terra, invoca dio nello stordimento… oddio, mi sento male… l’adrenalina… mi sale in testa… oddio, mi sento male… respira profondamente, cammina su e giù fino a ritrovare un equilibrio. Poi confessa, devo capire, lui odia gli stranieri, lui odia l’aggressore, magari impunito, deve trattenersi, la voglia è tanta di svuotargli in corpo il caricatore, tutto intero. Tocca a me 

rassicurarlo, 

accoglierlo nella rabbia, nella frustrazione… 

e comprenderlo. Anche lui è solo un uomo, con le sue paure e le sue insicurezze, ha bisogno di essere apprezzato


[2] VEDO Carabinieri che, per convalidare l’arresto, garantirsi la custodia e pure la condanna manipolano rapporti fabbricando contenuti che gonfiano il potenziale criminogeno dell’eletto aggressore (con l’avallo di giudici consenzienti), fuori e dentro le corti di un tribunale, per poi scampare ignobilmente il confronto con me scrivente, qui informata dei fatti, in seguito alle pubbliche mie proteste, debitamente registrate.


[3] VEDO Marescialli, di supposta preparazione, che, nell’ansia di acquisire la denuncia, mistificano un gesto innocuo per partorire quel sospetto di un reato mai compiuto (in mano all’orbo giudice divenendo poi accusa) quando, in realtà, null’altro è che proiezioni di ombre proprie di una mente che inganna. E VEDO ancora, in quella stessa ansia, la noncuranza delle condizioni in cui verso a narrare il fatto: insonne e pure scossa dalla piega improvvisa che affonda l’esistenza negli abissi di un vuoto dentro, gli occhi ormai velati dalle lacrime sì invadenti, la vigilanza abbandonata, lo spirito intorpidito a siglare la condanna, la mia insieme all’Altro.


[4] VEDO Appuntati, deputati al servizio di accoglienza (il cosiddetto “piantone”), svogliati e abbandonati fra le pieghe di una seduta al di là del vetro impenetrabile come i meandri della loro mente, che nell’arroganza di un potere ostentato, rifiutano l’accesso all’ufficio preposto di competenza nonostante la premessa di appuntamento per campare, richiamato all’ordine, comunicazioni a me mai dettate.


[5] VEDO Sottufficiali, anch’essi navigati, che, nella pretesa feroce nonché sete di condanna e punizione, tentano in maniera più aggressiva che conciliante di deviare il mio intento di procedere alla presentazione di istanza di ammonimento al Questore di competenza in quel contesto di molestie ancora agite a mio danno, così forzando le mie volontà per far bottino, sempre lui, di accusa e denuncia. La ragione qui difesa - non certo donna io soggetto - addotta per distogliermi dall’istanza quale strumento votato dalla stessa legge già nei casi di molestia, è quella della persistenza di una realtà che vuole l’istanza in quanto misura or del tutto inefficace e dai Questori immancabilmente ignorata nonché respinta. Pur confusa e interdetta, qui insisto mia eterna sorte, per vederla poi accolta, la mia istanza di ammonimento.


[6] VEDO Capitani, avvenenti nella forma, cordiali nei modi, che, nel trattamento di un illecito – la fuga di notizie accertata oltre il sospetto fra i ranghi di un bastimento qui sorretto con l’aggravio di nuove violenze a caricarmi – danno mostra di comportamenti equivoci e ambivalenti più che di interesse e preparazione; comportamenti sì somiglianti alle dinamiche di controllo della situazione agita da coloro rei occulti. VEDO maldestri tentativi di negare l’evidenza. VEDO interventi di mediazione proposti e mai realizzati. VEDO, in alternativa, l’invito a trattare la faccenda nell’informalità di un incontro al bar, assaporando un caffè, magari proprio sul Lungomare, è estate. Declino, non siamo certo amici, almeno io e loro, mentre scopro che Loro lo sono, capitani avvenenti e pubbliciste scaltre in odor di promozione. VEDO il profilo di quella fonte, gola profonda di provincia, tutelata e protetta più dell’alieno della famigerata Area 51 e tutto a scapito di me scrivente, che, tralasciando le ragioni d’onore e il sostegno alla causa delle donne vittime di violenza – visto l’anonimato all’ombra di una medaglia al valore – ha d’annoverare fra le pulsioni che lo hanno mosso al pettegolezzo compulsivo qui il soldo (ma che mai varrò sul mercato delle notizie sensazionalistiche, son nessuno) e il sesso, forse quella più indicata nel mio caso. VEDO ancora quel violento già perverso, che, al riparo di una divisa tirata a lustro, agisce notoriamente la sua aggressione in modo indiretto. All’obiezione nega tutto e accusa l’Altro di aver frainteso e interpretato male inducendolo a dubitare delle proprie percezioni; quando a negare è, in realtà, dell’Altro la sua esistenza in una danza incessante di ombre e mezze tinte dagli effetti devastanti sull’umano già violato. 


Come biasimare, mio conforto e musa, chi a questo preferisce l’oltraggio, una sgridata e pur gli schiaffi!


[7] VEDO operatori dell’eletto istituto del Codice Rosa, uomini, pubblici ufficiali, rincorsi da me per mesi e informati di ogni contenuto a riguardo, che si rifiutano di rendere testimonianza, quella stessa unico scopo di scagionarmi da accuse infamanti e apertamente falsate… manco fossimo a un processo di una Palermo anni 80.


[8] VEDO operatrici del Centro Antiviolenza, tutte donne, preparate e assai distinte, che, nutrite da me ancora di abbondanti contenuti, a ogni passo tacciono, sono da sola a espormi, sono da sola a parlare. Eppure sono anch’esse DONNE come me, DONNE che si dicono, si vivono, si dichiarano a tutela della DONNA vittima di violenze… e collezionano sì facendo denari, vanti e lustri, non da meno del collega maschio. Eppure, mia amica e confidente, dalle pagine patinate di opuscoli e siti declamano a tinte forti la presenza sul territorio con la mira di “contrastare e ridurre fenomeni di discriminazione, violenza e sfruttamento delle donne”, e altri motti di grand’effetto. Corre il dubbio che, in realtà, e fra le pieghe di un profondo essere, siano proprio loro, STESSE DONNE, a suffragare le brutalità e le aggressioni di un violento perverso DENTRO, non soltanto le mura di casa, ma DENTRO il DNA di una società, compatta e tutta intera, che condanna e punta il dito su quell’uno appariscente, criminale e deviato, ignorante e alienato… un femminile che riproduce codici e informazioni di una cultura di violenza intimamente già perversa


Il silenzio di una donna, mia eterna grazia, che nelle tenebre di una casa mai rifugio lì sprofonda, si fa arma qui letale, sibillina pur sfogata, nel mutismo che uccide.

[9] VEDO ancora una donna, pubblicista, Caporedattrice, che, in un gesto dal gusto di scaltrezza in assenza di un sentire dentro e in accordo con il compare di merende, pensa bene - il corpo ancora caldo - di trascinarmi in piazza, strapparmi di dosso quei pochi lembi di straccio a velare ed espormi al pubblico dileggio. Alla mia preghiera, cortese, in una prima telefonata alla stessa, di sapere chi le avesse fornito i miei dati e gli estremi del fatto avvenuto (erroneo e falsato) la signora rifiuta di citare la sua fonte (tutela e riservatezza professionale delle fonti del giornalista), non può, e non vuole. Nel tentativo – e nel rispetto della prassi giornalistica – di invitarla a comprendere le conseguenze per me intervenute a seguito della notizia faziosamente diffusa, comprensiva della precisazione di informazioni di riferimento a riconoscimento mio e delle persone coinvolte nonché a volersi accertare della credibilità della presunta fonte la signora mi risponde, con fare sardonico, che è "la mia parola contro quella dell'altro (la fonte, chiunque essa sia)" e in aggiunta, "che vorrebbe fare (inteso alla stessa fonte, qualora la indicasse), andare a sparargli".  


Forse lo dovrei fare, mia lucida coscienza,… sparare!

È un’opzione su infelice suggerimento che non mi sento, alla luce degli avvenimenti succeduti e ampiamente già narrati, di scartare. In una società, in una cultura, quale la nostra, mia amata, che si dice civile, in cui sono scarse le possibilità di fare esperienza di giustizia, in cui lo stesso parlare di giustizia è pio sofisma e pura astrazione, in cui il dialogo non s’iscrive in quell’arte ch’è il piacere ma è vano arbitrio, cosa resta a onorare il lutto?


A testimoniare, mia viva sorte, è fra le pieghe di un invisibile, di un inesistente, di una realtà di chi subisce che si cela l’opportunità di VEDERE, oltre l’apparente, anche quello che l’umano qui nasconde, ingannando solo sé stesso. Non è da ieri che subisco, sono avvezza alla violenza dentro e fuori ogni casa, ma è la prima volta che mi scopro a chiedere aiuto a chi l’aiuto veste sacro… e parlo, per infausta norma. 


Son lontani i tempi di quel Salvo pur d’Acquisto che la vita seppe dare per quell’Altro suo affidato, un’immagine alla parete di un umano assai deserto.

E dimentico è pure il tempo di soli uomini come Borsellino, che, con le loro straordinarie doti umane, seppero cavare dall’isolamento colei che lì sapeva, per diventare un sostegno, un riferimento per chi

ha sete di parlare, 

di abbandonare quelle notti oscure e mortificanti,

di cambiare le sorti di una terra, non solo la propria ma quella di tutti.


Chi o cosa trovano oggi quelle donne che vorrebbero parlare ma non hanno il coraggio, donne sole, disorientate, tormentate dai dubbi e dai pensieri a cui far fronte nell’impotenza? - la mia domanda, mia compagna.


La mia ambasciata, invece, ora ed oggi, si è adeguata alle leggi del sistema, come qui da insegnamento, e sarà urlata ad ogni angolo di strada che ancora ingombro…


DONNE!

NON PARLATE!

Non abbandonate quelle caverne in cui l’uomo vi ha segregate.

Una volta fuori non è diverso…


È L’UMANO CHE VIOLA DENTRO AL DI LA’ DI QUEL NUDO MASCHIO!


Metilde S