Un'arida corte | La violenza dentro
Mia amata Dafne.
Di quanto a te avanzato nella mia missiva precedente, nella forma sua integrale, e del sospetto già fondato di una fuga di notizie, illecita e inopportuna, fra quei ranghi di una Benemerita interveniente, dalla quale trae origine la sequela di violenze or morali a nuovo danno della sottoscritta, son da me informate tutte le autorità civili e militari, Ordini Consigli e Comitati, Istituti e Associazioni di spettanza e competenza locali e nazionali, a non voler escludere le stesse di matrice religiosa opportunamente.
Ebbene, mia viva sorte, ciò che il manifesto riscontro e i miei triti inviti al dialogo hanno sortito dalle sponde di Lor Signore e Signori, emissari di Enti Illustri e, vuol la carta, competenti, è
silenzio
disinteresse
noncuranza
riluttanza
e scarsa disposizione a concedere quel bene e cittadinanza che a tutti, senza esclusione, già iv’entro appartiene…
l’attenzione e la considerazione.
In un luogo e in un tempo, pure noti anche a te, mia adorata, questo mondo e l’or presente, in cui la guerra è ancor sovrana e il sangue sempre scorre, mi si insegna, io ignara e sol plebea, dalla bocca di una Esimia, pur collega e in elenco, che
“il dialogo mai è atto or dovuto”.
Lo sconcerto a udirla greve, una sentenza sì lapidaria, muove l’anima a tristezza, lo spirito all’oblio e in petto il cuor ribelle alla rabbia più profonda sempre madre di sciagura, di offesa e di ostilità: l’arma in pugno, il coltello arrotato, a disfare piazze, a mozzare teste, ad accendere masse intere. È così che la mia esperienza, solo in apparenza soggettiva, si scopre a varcare quella soglia di una casa, sempre forgia di tormenti e angosce, di aggressioni e di violenze - a voler puntare il dito e stringere l’accusa – per incontrarlo fuori, l’oppositore, in quel luogo insospettato, una terra inattesa, la dimora di quell’Altro, ben celato nelle vesti, candide e immacolate senza piega e pure macchia,
dell'EROE
del protettore
dell’alleato
del paladino
deputato alla tutela in ogni forma sua ben propria, della donna qui bersaglio di violenze e prepotenze, e fra le tante attribuzioni pur soggetto assai debole su cui vegliare, mia amata.
Ciò che ora lì appare a quell’occhio già stuprato, l’universo già sondato, è la stessa realtà, sempiterna e in gran fermento, dal sapore di violenza arricchita di un onore, pia cariatide nella notte. La violenza qui agita, meno appariscente di colei unta fisica, è la sua ombra, più sconosciuta ma più diffusa,
qua morale o psicologica.
Mia tenera compagna, sulla pelle è oramai iscritta ogni manifestazione di crudeltà di una mente che sovrasta il cuore e a coinvolgere è fra le tante
l’indifferenza
il silenzio
e in un gesto estremo lo sguardo che disumanizza,
episodio pure occorso sempre dentro la stessa sede di una benemerita di nazione…
Metilde S