Una cura assai fatale ai tempi del Covid | V luglio 2020

Mentre le stagioni di una influenza più o meno aggressiva erano, sono e saranno certe come l’alba di ogni nuovo giorno, voglio regalarti, mia amata, una riflessione di Sumption, un rispettato ex giudice della Corte Suprema del Regno Unito - e un compagno d'arme se la guerra pateticamente rivendicassi. In essa egli è a fare il punto della situazione sui demeriti di una cura che andrà a costituire una minaccia ben più pericolosa per l’umanità di un parassita mutaforme in circolazione…

“[…] Abbiamo sottoposto la maggior parte della popolazione, giovane o anziana, vulnerabile o in forma, alla detenzione domiciliare a tempo indeterminato. Ci siamo impegnati ad abolire la socializzazione umana in modi che portano a un disagio inimmaginabile.

Abbiamo dato alle forze dell’ordine poteri che, anche se rispettano i limiti, creeranno un modello di vita autoritario del tutto incoerente con le nostre tradizioni. Abbiamo fatto ricorso alla legge, che richiede una definizione esatta, e abbiamo bandito il buon senso, che richiede giudizio.

Queste cose rappresentano un’interferenza con la nostra vita e la nostra autonomia personale che è intollerabile in una società libera. Dire che sono necessarie per fini sociali più ampi, per quanto preziosi possano essere, è trattare gli esseri umani come oggetti, meri strumenti di politica.

E questo prima ancora di arrivare all’impatto economico. Abbiamo messo centinaia di migliaia di persone fuori dal lavoro e bisognosi di credito universale. 

Recenti ricerche suggeriscono che stiamo già spingendo un quinto delle piccole imprese verso il fallimento, molte delle quali avranno impiegato una vita di onesta fatica per arrivare fino a quel punto. Si prevede che la proporzione salirà a un terzo dopo tre mesi di blocco. Le generazioni a venire saranno gravate da alti livelli di debito pubblico e privato. Anche queste cose uccidono. Se tutto questo è il prezzo per salvare vite umane, dobbiamo chiederci se ne vale la pena. 

La verità è che nelle politiche pubbliche non ci sono valori assoluti, nemmeno la conservazione della vita. Ci sono solo pro e contro. Non permettiamo forse di circolare con le automobili, tra le armi più letali che siano mai state concepite, anche se sappiamo con certezza che ogni anno verranno uccise o mutilate migliaia di persone? Lo facciamo perché riteniamo che sia un prezzo che vale la pena pagare per muoversi in velocità e comodità. Ognuno di noi che guida è una parte tacita di quel patto faustiano.

Un calcolo simile sul coronavirus potrebbe giustificare un periodo molto breve di blocco e di chiusura dell’attività, se aiutasse la capacità di assistenza critica del sistema sanitario a recuperare il ritardo. Può anche darsi che misure di distanziamento sociale severe siano accettabili, in quanto applicate solo alle categorie vulnerabili.

Ma se gli scienziati iniziano a parlare di un mese o anche tre o sei mesi, entriamo in un regno di sinistra fantasia in cui la cura ha preso il sopravvento come la maggiore minaccia per la nostra società. Nella migliore delle ipotesi, le misure di isolamento sono comunque solo un modo per guadagnare tempo. I virus non se ne vanno e basta. In definitiva, usciremo da questa crisi quando acquisiremo una qualche immunità collettiva, o di gregge. È così che le epidemie si estinguono. E quel momento arriverà, in assenza di un vaccino, solo quando una parte sufficiente della popolazione sarà esposta alla malattia. 

Non sono uno scienziato. La maggior parte di voi non è uno scienziato. Ma possiamo tutti leggere la letteratura scientifica, che è perfettamente chiara, ma ha evidenti limiti. Gli scienziati possono aiutarci a valutare le conseguenze cliniche dei diversi modi di contenere il coronavirus. Ma non sono più qualificati di noi per dire se valga la pena di mettere sottosopra il nostro mondo e di infliggergli gravi danni a lungo termine. Tutti noi abbiamo la responsabilità di mantenere il senso delle proporzioni, soprattutto quando molti stanno perdendo il loro.”

Primum non plus nocere quam succurrere, un aforisma che nella gestione di un parassita qui in vena di trasgressioni è stato maldestramente eluso, mia amata sorte.

Metilde S