Un codice d'onore ai tempi del Covid | V giugno 2020

Mi duole ancora confidarti, mia amata, che nell’atmosfera così densamente intrisa di risentimento, avversione e ostilità immotivati, e pertanto solo istintivi, io non mi senta più sicura e libera da pregiudizio a varcare pure la soglia di una Stazione CC, a sbrigarvi un atto, o, che iddio me ne scampi, a chiedervi aiuto. Il sentore di un vizio persecutorio a perseverare vi è già quella prima mattina di un giorno non lontano a venire e a seguire l’ordinanza neoemessa d'un borgomastro a imporre la mascherina e i guanti, quando una pattuglia dei CC è a fermarsi molestamente sul Corso e a urlarmi da lontano, fra tutto e tutti, finestrino abbassato… “signora, deve mettersi la mascherina” (ci risiamo!). Un tormento, ancora a perseverare, nell’imposizione violenta di dubbi mascheramenti che nel mio caso ben specifico equivalgono a torturarmi a causa di una pregressa e grave forma di mascafobia radicata nell’infanzia e giunta allo spasimo nella contingenza. Non tradisce il Malinconico, già giurista e magistrato, mia amata, quando è a disvelare che "a guidare gli uomini del potere sono desideri inconfessati, lussurie, sadismi, odio delle donne. Un gioco perverso che sollecita il dilemma se l'ingiustizia sia, e in quanto parte, legata alla norma o se sia il frutto cancrenoso dell'abuso delle norme, della ripetizione indiscriminata della tortura, della trasformazione della legge in arbitrio."

Metilde S