Quell’indice di ignoranza ai tempi del Covid | VII aprile 2020

Mia amata Dafne, nel contesto odierno di riferimento, la centralità dell’emergenza sanitaria Covid-19, voglio affidarti quell’aspetto, mi ossessiona, di una percezione alterata della realtà che in seme ha viziato dalla prima ora la gestione poi confusa, disarticolata, a tratti pure aggressiva della voluta emergenza stessa.

È noto a tutti quanto ansia e paura veicolino la difficoltà nella valutazione degli stimoli che giungono dalla realtà esterna e portino ad agire in maniera poco razionale ed esagerata. La causa, a sentire gli addetti al lavoro, è da ricercare nella ristrutturazione dei circuiti cerebrali responsabili dell’individuazione delle minacce, che conduce a una generalizzazione eccessiva e alla definizione come pericolo ciò che di pericoloso ha poco o niente. Ciò risulta manifestamente dimostrato nella trattazione diffusa della stessa mortalità della nuova infezione “nettamente più bassa rispetto alla SARS del 2002-2003” e “lontana dalle minacce drammatiche di un virus Ebola ad esempio”, qui a cura della Società Italiana di Medicina Ambientale. Una bassa mortalità, a citar la stessa fonte, che insieme ad altre osservazioni tecnico-scientifiche “dovrebbe aiutarci a fare chiarezza sulla PERCEZIONE DEL RISCHIO ed evitare di farci prendere dal panico.

Ciò che è successo, invece, lo evocano in maniera estremamente chiara le parole di B. Lipton già all’alba di una follia annunciata… “siamo programmati con la convinzione che questo particolare virus del raffreddore sia mortale.” Una programmazione rovinosa che in Italia è avvenuta di concerto con gli attori di un governo e i suoi tecnici moralmente impreparati, una Protezione Civile e affini di dubbia competenza e un sistema d’informazione gestito in assenza di preparazione, serietà ed efficienza. Una programmazione che ha fatto della mortalità, soprattutto, un tal uso strumentale 

da tradire ogni senso di umanità e passare spudoratamente il segno della decenza intellettuale.


Sullo sfondo di un immaginato campo di battaglia

con un parassita acerrimo nemico dal gene letale

medici e infermieri nelle trincee di prima linea con scarsi mezzi d’assalto di incerto reperimento

e una infida mattanza d’umana sorte proiettata minuziosamente sulle pareti oscure di una mente ignara

il governo sì autorizzato scende in campo con un’azione inesplorata di serrata plenaria di ragioni e cose, estranea alla memoria di ogni guerra pur reale con il coprifuoco solo di notte, le attività produttive in vigore, le vie del tribunale mai blindate e i bambini a correre giocare e imparare tra le macerie delle loro case. A sventolare alta la bandiera di un’ecatombe i bollettini di guerra a cura di supposti professionisti della mobilitazione del coordinamento delle intere risorse nazionali a garantire l’assistenza a noi genti comuni, all’imbrunire di ogni giorno andato, canonici, lapidari,

deceduti positivi guariti…

deceduti positivi guariti…

deceduti positivi guariti…

A rinforzarne l’effetto, qui auspicato, di una diffusione planetaria si misurano i neoeletti corrispondenti di guerra che dai tavoli di combattimento testimoniano la strage…

mandati a combattere a mani nude

i caduti in prima linea

nuovo record di decessi.

La reclusione unica salvezza, cinti e mascherati, il quadro è affrescato, nella migliore tradizione delle antiche maestranze, pontate su pontate, prima i contorni poi il riempimento, un cupo demone a giacere su di noi dormienti. Una programmazione che cede il palco ad ogni sorta di alchimia del pensiero in relazione al contenuto di un’esperienza sensoriale, a tratti illogico, su quell’onda di un particolare stato affettivo (qui ansia, angoscia e paura), e a tema fisso.  


Una elevata mortalità del Covid-19, quindi, mia amata Dafne, a tal punto strumentalizzata che in quanto avvenimento rimarrà famosa negli annali della storia – è già noto al momento in cui scrivo – come “la più grande delle fake news”, la dichiarazione di Giulio Tarro. Per il vezzo di un’economia mi riservo gli approfondimenti del caso poiché già emersi largamente, la computazione dei decessi falsata, il metodo utilizzato per i tamponi mai validato (l’Italia è sprovvista della parte di procedura di confronto Covid-19 con la conseguenza di una generazione di numerosi falsi positivi e falsi negativi), il numero delle persone positive al nuovo virus un dato scientificamente “sporco”, il criterio adottato in Italia a differenza di altri paesi del “tutto dentro” in merito ai deceduti, e via scorrendo. Ciò che risulta, invece, inconfutabile, è la marchiana alterazione della realtà. Un’alterazione qui aggravante, mia amata, che nella mia scarsa attitudine alla speculazione complottistica voglio attribuire piuttosto alla paura, in quell’uno dei suoi effetti, precisamente il genio “di confondere i sensi e far sì che le cose non appaiano quali sono”, come andava già affermando un Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes. Una tendenza all’alterazione della realtà che nel caso degli italiani sembra affondare le radici a tal punto in essenza da guadagnarsi il primato in Europa per 

    DISTANZA FRA PERCEZIONE E REALTA’. 

A spiegarla, la distanza, in maniera esplicita è Nando Pagnoncelli, la quale “si definisce in genere indice di misperception, che potremmo tradurre con indice di distorsione percettiva, o, più banalmente, indice di ignoranza.” E oltre, pur estendendo la ricerca nel tempo ad altri paesi oggetto i rilevamenti hanno “confermato la marcata tendenza italiana a non saper valutare la portata dei fenomeni”, con “un’evidente e innegabile distanza in Italia tra percezione e realtà, una distanza che si conferma stabilmente di anno in anno. Solo i paesi a bassa scolarità ci hanno preceduto nelle ultime edizioni di questa classifica tutt’altro che meritoria. […] Questa distanza oltre a essere consolidata, è ampia […], la distorsione, dunque, è di carattere accentuativo, ossia fortemente dilatatorio. Tendiamo quasi sempre a ingigantire la portata dei fenomeni.” Sono afflitta, mia amata.

Metilde S