La trasfigurazione del nemico ai tempi del Covid | XI maggio 2020

Talune parole, mia amata Dafne, in bocca a un tal tribuno dipinto pubblicamente - quel Fatto già Quotidiano, il 2016 lì corrente - come “uomo violento, nel linguaggio e non solo, che una linea invalicabile fissata dal rispetto di elementari regole democratiche l’ha sorpassata, che nell’azione politica sterminò con metodo chiunque in altro partito la pensava diversamente da lui", unitamente ai toni e alle vibrazioni di una voce che non tradiscono l’autenticità infausta e viscerale del suo desiderio di distruzione, e alla mimica facciale correlata, turbano profondamente. A interrogarsi sul suo limite potenziale di “massimo rigore possibile nei confronti di chi viola” regole elementari e obblighi di legge dettati, nella contingenza da una onnipresente e onnipotente autorità sanitaria, lo stesso bruto ha già fornito la risposta nelle sue impunite esternazioni in materia: 

    l’annientamento fisico,

    quale massima invasione dell’altro da sé,

    lo sterminio,

    l’uccisione.

Il suo acerrimo nemico non sono il Covid-19, o altri vizi e difetti a curare e, forse, non lo sono mai stati, visto il suo costante e personalissimo contributo all’impoverimento della sanità e del personale in essa alloggiato, oggi subdolamente difeso nel rispetto, il solo

    tenacemente avverso

    è colui che viola

    “le regole e gli obblighi di legge”,

ovvero, in questo preciso momento storico, “senza guardare in faccia a nessuno – con il noto significato di “procedere senza tentennamenti, senza farsi impietosire” – colui che 

passeggia sul Lungomare, è stravaccato sulla panchina, cammina per strada senza ragione motivata, gli chiede il permesso di preparare una festa di laurea”.

A loro, vili trasgressori e criminali di ultima generazione, è a rivolgere la minaccia perpetua, in quella forma molestamente familiare di un tu improprio, del “se ti trovo… ti obbligo a stare in quarantena per 15 giorni”, una claustrazione punitiva nella migliore delle ipotesi per l’appunto. Nella peggiore, una bramosia in essenza, al di là di ogni “proporzionato e commisurato”, sinistra e allarmante, la secca pretesa di “militarizzazione dei quartieri”, seguita o preceduta dalla comunicazione ufficiale di “aver mandato anche una richiesta alla Presidenza del Consiglio perché ci sia nel territorio la presenza dell’esercito”, allo scopo essenziale di “neutralizzare gli irresponsabili, un 10%, e metterli in condizione di non nuocere”, inclusivo di “carabinieri con il lanciafiamme – considerata un’arma il cui utilizzo è associato alla dolorosa e terribile morte che comporta oppure alle terribili ustioni che lascia

Quell’intimo disprezzo, un’emozione fra le più letali, subdola e oscura, che trasuda dal linguaggio proprio d'un satrapo, volgare, tracotante e guerresco, è l’unica emozione che lo caratterizza nella contingenza e nei rapporti di dominio e sottomissione con il cittadino, a lui oggi, disgraziatamente, affidato in cura ovvero: 

    trattenuto in ostaggio, sequestrato e arrestato a domicilio.

Non vi è rispetto né comprensione nelle sue parole, nei suoi atteggiamenti pur mentali, nelle sue azioni (anche se è in grado di fingere di averli, qualora gli facesse comodo), si appropria di tutto, a scapito dell’altro, lo fa senza scrupoli e senza rimorsi, usa consapevolmente il disprezzo, un’arma di distruzione per la psiche con aspetti sofisticati, per ferire, demoralizzare, ridicolizzare, minimizzare e persino annullare l’altro, in quella sua visione di un mondo ideale, ai suoi piedi dispoticamente a governarlo, del tutto assimilabile a quello “cinese con i suoi metodi educativi e pedagogici così diversi", del quale nostalgicamente ricorda la prassi di fucilazione di colui irresponsabilmente trasgressore quale “metodo terapeutico che nelle democrazie occidentali non esiste". Un pensiero, quello espresso dallo stesso soggetto, nella contingenza fin qui notoriamente sanitaria, e in ogni altra circostanza futura in latenza, di considerare la fucilazione un metodo terapeutico, che onestamente, mia amata, mi spaventa, mi cagiona un profondo disagio, mi tormenta da allora

Metilde S