La mordacchia ai tempi del Covid | II giugno 2020

Null’altro è, mia amata Dafne, che un bavaglio, quello straccio di tessuto impostomi inopportunamente nella circostanza, in quel dì di marzo a confidarti, sullo sfondo di una indicata disposizione sanitaria in materia di misure igieniche che ribadisce l’uso della mascherina solo se si sospetta di essere malati o si assiste persone malate. Nessuna delle due ricorrenze mi compete! Il bavaglio invece, tu mi insegni, è quello stesso straccio di tessuto che, nel contesto della dominazione, viene stretto alla bocca di persone cui si vuole impedire di parlare, gridare o chiedere aiuto.

La riprova dell'imposizione a servizio di un'indegno arbitrio risulta evidente in quella seconda circostanza intervenuta, il Comandante questa volta, a giocare in casa. Il giorno XXX marzo trascorso, terminato l’isolamento punitivo di cui sopra, mi reco alla Stazione CC per depositarvi il mio ricorso in opposizione all'accaduto. Solite barricate, solite resistenze passivo-aggressive, il piantone mi parla di momenti bui, non c’è nessuno, torni un altro giorno. Essendo a me già nota la retorica, insisto decisa e, infastidito, mi accompagna dal Maresciallo in sede. Stessa resistenza, stesso atteggiamento a irrigidirsi, in un primo momento l’ufficiale si rifiuta di accogliere l’esposto in deposito e inoltro alle Procure, DEVE leggere il contenuto, fare le dovute indagini in denuncia e poi procedere. Rifiuto categoricamente, voglia la natura dell’esposto che sia il Procuratore a cui è indirizzato a vagliare il prosieguo. Dopo un acceso confronto sull’argomento riusciamo a giungere alla formalizzazione del deposito come convenuto. In dovere di ricevere un’altra persona, il Maresciallo mi invita a tornare il giorno seguente per terminare l’accoglimento in deposito della seconda copia destinata alla Procura di competenza. Mi presento l'indomani all’orario concordato, annunciandomi al piantone in quanto attesa dal Maresciallo, e attendo in portineria, a debita distanza dal vetro, a non ingombrare il passaggio dei militari in entrata e in uscita. In quel mentre a rientrare, a passo lungo, e senza offrirmi il saluto o degnarmi di uno sguardo, e pertanto a passarmi avanti è il Comandante in persona, in divisa, con un collega al seguito. Da quel momento sono a percepire, e a osservare, nelle stanze dietro alla seconda porta d’accesso all’edificio, il crescendo di uno stato di agitazione, voci concitate, passi affrettati su e giù. Di colpo mi annuncia lo stesso piantone che mi è permesso l’ingresso soltanto con la mascherina. Turbata dall’insolita e illegittima richiesta, alla data occorrente in assoluta assenza di contesto normativo di riferimento, mi rifiuto, facendo notare che soltanto ieri, il giorno precedente, ho avuto accesso tranquillamente senza la stessa. Il piantone alza le braccia, non so che dire, ordini del Comandante! Lo stesso, poco prima, uscendo nuovamente insieme al collega al seguito, ripassandomi avanti, aveva malamente ingiunto ai militari alla porta, più d’uno in assembramento, di disinfettare tutto dopo, facendo esplicito riferimento a me e alla mia presenza in quella sede. Consapevole delle motivazioni discriminatamente vessatorie in seme alla richiesta di indossare la mascherina/bavaglio, mi rifiuto di farvi seguito e insisto sulla mia posizione, a difesa. Il piantone, cortese, si consiglia ancora con i colleghi e superiori lì presenti, mentre un altro militare, a seguire la contesa dapprincipio, improvvisamente avanza nei miei confronti e in maniera aggressiva mi impone il silenzio e l’attesa nello stanzino di fronte alla portineria, è quello il mio posto, è quella la sala d’attesa, si devono organizzare. Infine il Maresciallo, con cui avevo già interloquito, gentilmente, mi accorda il deposito stesso lì in portineria, attraverso il vetro, a non rischiare, io untrice, di infettare oltre le stanze di un comando. Voglia il fato, mia amata, ancor scamparci dal vederla eretta in quel di un borgo qui scrivente, la colonna assai infame!

Metilde S