Delitto e castigo ai tempi del Covid | XXI maggio 2020

Improvviso, mia amata Dafne, l'insidioso vento di un'invasione macroparassitaria è a segnare me e mio marito dalla prima ora di una voluta emergenza sanitaria, la quale disvela una modalità di approccio e gestione a dir poco grotteschi, dai tratti indecenti, in terra acre e quel suo borgo qui scrivente. Entrambi, criminali della passeggiata sul Lungomare ai sensi dei dettami di un tiranno annunciato, 

in un borgo già deserto e svuotato prima del tempo di una emergenza,

nello stesso borgo a zero contagio allora (XV marzo già andato) come oggi,

in piena ottemperanza dei precetti di un DPCM di riferimento,

e pertanto già sottoposti a un regime insolito, forzato ed evidente di restrizioni della libertà,

ci vediamo ulteriormente maltrattati in quell’incontro con il Mandatario, agente della Polizia Municipale locale. In quel particolare momento della nostra vita, mai ignara la tua veste mia amata, stavamo già vivendo appieno, sì stranieri involontari, il disagio di un’avanzata per le vie della cittadina in un clima improntato a una cultura del sospetto e del distanziamento, reso oggi più aspro dallo spirito delatorio accesosi all’alba dell’emergenza nella popolazione e apprezzato pubblicamente dal suo primo cittadino. Di contatti già poveri poiché d’indole riservata, non invadente, non siamo soliti a imporre la nostra presenza all’altro, ma dediti alla passeggiata, mano nella mano, unico ritmo della stessa vita, per noi pur respiro e lenimento in quella sorte già gravata della privazione e del sacrificio prima ancora della comparsa di un governo a decretarla. È ora, in quella trama di una condizione estesa di disagio conclamato, in presenza oltretutto delle imposte restrizioni della libertà, che s’intreccia l’intervento aggressivo in quel eccesso di potere da parte di uno stesso Mandatario. Sin dai primissimi istanti dell’incontro era evidente la totale indisponibilità dello stesso alla concessione di uno spazio umano, seppur minimo, di comprensione, di apertura, di mediazione nel contesto reale e concreto di un borgo sì deserto, mio marito ed io soli di ritorno a casa per il pranzo, perfettamente sani e in salute, non esposti e a non esporre ad alcun rischio anima viva nei paraggi, lontani i contagi a confinare, l’ottemperanza ai precetti comunque nazionali di riferimento e via scorrendo. Autorizzato oltre il ruolo dalle segrete segnalazioni a pregiudizio fuori dubbio, le condotte draconiane dei suoi ordinanti borgomastro e funzionario capo regionale a imitare, l’agente Mandatario eretto giudice, noi soggiacenti in condizione di minorata difesa, passa senza indugio e noncurante di autocertificazioni o strenue obiezioni, a infliggere la pena

    violazione articolo 650, 

    denuncia alla Procura,

    isolamento coatto e immediato con la minaccia della sorveglianza.

Ostile a ogni mio appello a una sovrapposta istanza nazionale di riferimento, fedele soltanto ai dettami di un funzionario caporale, unica competenza in territorio regionale a suo dire, l’agente Mandatario in ordine a seguire

  • mi pianta deciso e letteralmente il foglio dell’ordinanza di riferimento davanti al viso,

  • ridicolizza il mio vano intento di chiamare in aiuto i Carabinieri… “voleva i Carabinieri, eccoli”,

  • mi preclude, poi, la lettura della suddetta ordinanza in un gesto di arbitraria sottrazione punitiva… “niente da fare, non ha voluto leggerla prima, ora non glielo permetto”, e in ultimo

  • mi impone la posizione china sul cofano avanti a lui a rendere la mia dichiarazione

Un gesto nel contesto, mia amata, che a mortificare, offendere e ledere è la mia personalità e dignità, qui di donna fra tanto altro.

Metilde S